Riassunto
La preparazione del sito implantare nella procedura di chirurgia guidata avviene principalmente senza irrigazione, il che potrebbe comportare un aumento dell’attrito delle frese con la formazione e il rilascio di detriti o particelle metalliche. La presenza di particelle metalliche nel tessuto perimplantare potrebbe rappresentare un fattore scatenante per l’attività dei macrofagi, attivando i processi di riassorbimento osseo e la conseguente perdita dell’impianto. Secondo il protocollo di chirurgia guidata, lo studio mirava a valutare la presenza di particelle metalliche depositate durante la preparazione del sito implantare. Venticinque costole suine adulte dello stesso individuo sono state scelte per la loro struttura ossea trabecolare, simile alle ossa mascellari. I campioni erano tutti costituiti dalla stessa forma e misura: 8 cm (lunghezza) × 3 cm (profondità) × 2 cm (larghezza) inoltre sono stati ulteriormente suddivisi per ottenere 50 elementi di grandezza: 4 cm × 3 cm × 2 cm.
Una dima chirurgica in plexiglass è stata utilizzata per riprodurre il passaggio sequenziale delle frese fino alla formazione del sito implantare.
Il kit di perforazione utilizzato in questo studio è un kit di preparazione per chirurgia guidata caratterizzato da un’elevata resistenza all’usura, un’elevata resistenza allo snervamento e una buona resistenza alla corrosione. Questo stesso kit è stato utilizzato 50 volte in questo modo da preparare 50 diversi siti implantari, nei quali sono stati valutati i contorni nelle diverse preparazioni (T0-contorno neutro, T1-1 preparazione completa, T2-10, T3-20, T4-30, T5 -40, e T6-50) mediante SEM-EDX per valutare la presenza di eventuali depositi di metallo. La presenza di residui metallici nel sito implantare aumentava a seconda dei cicli di utilizzo delle frese. Abbiamo osservato che nei primi tre gruppi non c’è presenza di metalli. Ciò è evidente nei gruppi T3 e T4. Infine, la presenza di residui metallici diventa significativa negli ultimi due gruppi di campioni dello studio. Lo studio ha evidenziato come la mancanza di irrigazione nel sito implantare porti alla deposizione di particelle metalliche oltre ad una riduzione dell’efficienza delle frese, con conseguente peggioramento del taglio, alterando la forma del sito chirurgico, riducendo inoltre la stabilità primaria implantare.
Introduzione
Il successo della terapia implantare è determinato dall’osteointegrazione funzionale, che a sua volta dipende da una serie di fattori, quali: le caratteristiche chimiche, meccaniche e superficiali dei materiali utilizzati, la tecnica di preparazione, la stabilità primaria e i processi di riparazione dell’ospite durante la fase di carico. Le procedure chirurgiche degli impianti richiedono le frese per il posizionamento degli impianti, composti principalmente da leghe metalliche, altamente biocompatibili. Le fixture implantari sono per lo più realizzate con leghe derivate dal titanio (Ti-6Al-4V) in quanto presentano le proprietà di biocompatibilità, corrosione e resistenza meccanica. In particolare, quando il titanio viene esposto all’aria, forma sulla superficie del titanio un film costituito da biossido di titanio amorfo (TiO2), che rende le superfici biocompatibili e resistenti alla corrosione; invece, le frese elicoidali utilizzate per la preparazione del sito implantare sono in acciaio chirurgico.
Tuttavia, l’uso delle frese nel tempo potrebbe portare alla perdita del filo di taglio ed alla deposizione di particelle di metallo sulle superfici ossee, riducendo la qualità del sito implantare ricevente. Gli impianti metallici sono utilizzati principalmente in ortopedia per la sostituzione delle articolazioni e in odontoiatria per riabilitare l’edentulismo. Nonostante l’elevata qualità raggiunta dalle leghe metalliche sopra menzionate, i fallimenti nelle protesi articolari ortopediche, in cui l’attrito tra due parti artificiali può svolgere un ruolo cruciale, ed i recenti studi istologici sull’osso circostante sui modelli animali, hanno mostrato la presenza di detriti metallici derivati dal fenomeno di ossidazione del materiale di cui è composto l’impianto. Lugowki et al., hanno rilevato la presenza di bassi livelli di detriti metallici in diversi organi (fegato, cervello, rene, polmone, milza) dopo il posizionamento di impianti dentali nel coniglio. Coen et al. hanno mostrato come i detriti metallici inducano instabilità genomica nelle colture cellulari. La presenza di tali detriti può determinare un fenomeno di osteolisi perimplantare asettica innescata da una risposta immunitaria innata, una reazione da corpo estraneo non specifica, che comprende la presenza di cellule giganti da corpo estraneo, macrofagi, linfociti occasionali, fibroblasti e osteoclasti nell’interfaccia osso-impianto. Le cellule infiammatorie periprotesiche attorno alla protesi avviano la cascata infiammatoria con la produzione di citochine proinfiammatorie, chemochine per cellule infiammatorie, prostaglandine e così via. Ciò che ne risulterebbe sarebbe il fallimento dell’impianto per mancanza di osteointegrazione. Secondo la più recente classificazione delle malattie parodontali e perimplantari dell’American Academy of Periodontology (AAP) e della European Federation of Periodontology (EFP), le definizioni di mucosite e perimplantite emergono come nuovo carattere delle condizioni patologiche dei tessuti che circondano e supportano gli impianti dentali. Poiché il cavo orale è un ambiente ricco di batteri di centinaia di specie diverse, è sempre stato del tutto naturale correlare con essi gran parte dei fenomeni patologici legati alla pratica odontoiatrica, viste le abbondanti fonti di evidenza. Tuttavia, gli studi legati alle protesi ortopediche hanno aperto nuove prospettive nella valutazione dei fenomeni legati all’osteolisi perimplantare. Sappiamo che l’ortopedia utilizza protesi che sfruttano il fenomeno dell’osteointegrazione per consentire la funzionalizzazione dei distretti anatomici compromessi simile a quanto avviene in implantologia dentale. In quest’ultimo caso, la chiave del successo risiede nell’osteointegrazione dei materiali che compongono la protesi (titanio, cobalto, cromo, zirconia, ferro, nichel, molibdeno, alluminio). La ricerca che analizza il follow-up a lungo termine dei fallimenti delle protesi d’anca ha mostrato che una percentuale schiacciante di questi fallimenti è correlata all’osteolisi risultante da una reazione immunologica al rilascio di particelle metalliche e ioni nello spazio perimplantare. I tassi di sopravvivenza delle protesi articolari totali sono dell’85% dopo 25 anni di follow-up, con solo il 7% di tutte le revisioni in ortopedia causate da infezioni. Pertanto, una parte considerevole dei fallimenti a lungo termine delle protesi ortopediche può essere ragionevolmente attribuita al rilascio dei loro componenti metallici nel sito in cui sono collocate. Lo stesso fenomeno non sarebbe stato così evidente se si fosse verificato all’interno del cavo orale, dove la formazione di uno spazio periprotesico derivante dall’osteolisi asettica sarebbe comunque secondariamente colonizzata dalla flora batterica presente in bocca. Il meccanismo esatto potrebbe presumibilmente derivare dalle frese chirurgiche e dai detriti delle frese dopo diversi cicli di utilizzo e sterilizzazione. Inoltre, i detriti potrebbero non essere adeguatamente rimossi durante i protocolli di chirurgia guidata che includono dime chirurgiche a causa della mancanza di lavaggio con soluzione fisiologica. L’obiettivo principale di questo studio in vitro è valutare la presenza di residui metallici che derivano dal protocollo chirurgico utilizzando una dima per la chirurgia guidata.
Conclusioni
Secondo i risultati dello studio, la presenza di residui metallici nel sito implantare, dovuti all’usura delle frese utilizzate per l’intervento chirurgico, è stata dimostrata, aumentando inoltre sempre più a seconda dei cicli di utilizzo delle frese. Abbiamo osservato che nei primi tre gruppi non c’è presenza di metalli, ma ciò risulta evidente nei gruppi T3 e T4. Infine, la presenza di residui metallici diventa significativa negli ultimi due gruppi di campioni dello studio.
Quindi la mancanza di un’adeguata irrigazione legata all’uso della dima chirurgica ed a un eccessivo utilizzo delle frese, determina la formazione ed il rilascio di residui metallici i quali aumentano il rischio di avviare un’osteolisi asettica.
Pertanto un adeguato controllo dell’usura degli strumenti chirurgici, nonché un’adeguata irrigazione ed aspirazione limiterebbero la presenza di tali detriti.