Da quando nel 1960 Joseph Altman e Gopal Das hanno contraddetto il dogma di Cajal secondo cui i neuroni costituiscono un tessuto non rigenerabile, dimostrando la neurogenesi adulta da parte delle cellule staminali (SC) del tessuto cerebrale, la comunità scientifica ha iniziato ad investire tempo e denaro a ritmi sempre più serrati, per indagare le enormi potenzialità racchiuse in questo tipo cellulare. Oggi, a quasi sessant’anni di distanza da quella intuizione, il numero di ricerche condotte in tale direzione risulta impressionante così come la versatilità di queste cellule in grado di rigenerare non solo tessuti danneggiati ma persino interi organi. Più nel dettaglio, l’interesse che la comunità scientifica nutre nei confronti delle cellule staminali è giustificato dal fatto che ripristinare le funzionalità di un tessuto danneggiato, utilizzando le cellule staminali del tessuto stesso (o comunque di tessuti autogeni), rappresenta la strategia più vicina al meccanismo naturale con cui le cellule si rinnovano e riparano i traumi che possono colpire l’organismo. È tuttavia necessario considerare che se da un lato si intravede una strada molto promettente, dall’altro percorrerla implica muoversi con cautela e riconoscere l’estrema complessità legata ai meccanismi che governano questi processi di rigenerazione.
Le cellule staminali trovano ampie applicazioni in area medica, specialmente in odontoiatria, dove si offrono come possibile terapia sostitutiva all’utilizzo dei materiali compositi nel trattamento di lesioni cariose. L’uso di questi resin-based composites, considerando la notevole velocità di esecuzione e il costo relativamente basso, costituisce una soluzione efficace nei casi meno gravi, dal momento che permette di rimuovere la zona necrotica senza alterare sostanzialmente la fisiologia del dente. Si tratta di una tecnica indubbiamente versatile ma non priva di difetti: anche se i materiali compositi aderiscono stabilmente allo smalto, questi non mantengono le stesse proprietà adesive nell’interazione con la dentina, a causa del suo elevato contenuto di matrice organica. Dunque, se già nel caso dei tessuti duri vengono evidenziati i limiti della tecnica, quando si inizia a considerare la cura canalare, tali limiti diventano ancora più marcati. Una situazione delicata può insorgere se le lesioni iniziano ad estendersi alla polpa dentale; nel migliore dei casi è possibile preservarne una parte mentre, nei casi meno fortunati, la devitalizzazione diventa l’unica strada percorribile. Questa contromisura priva il dente delle sue difese naturali e lo rende quindi soggetto a una serie di complicazioni, tra cui quella di conferirgli una fragilità intrinseca. La polpa è un tessuto dinamico che fornisce sensazioni durante la masticazione, svolge l’importante compito di diffondere nutrienti e difende i tessuti che la circondano da patogeni che possono aggredirli. Risulta perciò fondamentale mantenere la polpa vitale ed è proprio in questa sede che le cellule staminali possono offrire una terapia alternativa.
Le staminali embrionali sono cellule totipotenti, dotate della capacità di differenziarsi in qualsiasi tipo di cellula dell’organismo e contemporaneamente di mantenere il proprio stato indifferenziato. Tuttavia, a causa delle problematiche etiche ad esse associate, è preferibile lavorare con cellule staminali adulte che, seppur presentando un potenziale differenziativo inferiore, mantengono comunque la capacità di generare diversi tipi cellulari. Grazie a questa duttilità, in teoria è possibile rigenerare qualsiasi tessuto danneggiato usando staminali adulte provenienti da diversi organi.
A tal proposito, un lavoro del 2008 condotto da un gruppo di ricerca della Tokyo University of Science su roditori, ha dimostrato come sia possibile rigenerare ed integrare un dente a partire da cellule staminali. In questo studio gli autori hanno, in un primo momento, raccolto e separato staminali dal tessuto epiteliale e dal tessuto mesenchimale di abbozzi dentari ed in seguito, immobilizzando le cellule precedentemente separate su un supporto di collagene, hanno ricostruito un abbozzo dentario ad alta densità cellulare che, dopo il trapianto nella cavità orale della cavia, ha rigenerato completamente il dente mancante. Sempre nello stesso lavoro, è stato compiuto un ulteriore passo in avanti rigenerando lo stesso dente in un tempo minore; in questo caso le stesse staminali con cui era stato creato l’abbozzo dentario sono state inserite all’interno di uno scaffold avente la morfologia di un incisivo totalmente sviluppato, ed hanno portato infine alla formazione dell’organo in tutte le sue strutture anatomiche (smalto, dentina, polpa, radice, legamento parodontale e osso alveolare) [9]. In questo caso sono state usate staminali epiteliali e mesenchimali ma, più in generale, queste cellule si possono trovare in ogni tessuto del corpo umano e, a seconda della zona in cui sono localizzate, presentano diverso grado di differenziamento, diverse capacità proliferative e generano preferenzialmente solo alcuni tipi cellulari. Le principali categorie di SC (stem cells) studiate in odontoiatria si trovano: nella polpa, nei denti primari, nel legamento parodontale e nella papilla apicale. Nel primo caso si parla di DPSC (dental pulp stem cells), cellule multipotenti capaci di differenziarsi in vivo nel complesso polpa-dentina. Nel secondo caso, si parla di SHED (stem cells from human exfoliated deciduous teeth) che, rispetto alle DPSC, possiedono una maggiore capacità proliferativa e nell’uomo sembrano essere deputate alla rigenerazione dei tessuti mineralizzati; per via di questa specificità, le SHED costituiscono la scelta più indicata nei casi di ricostruzione delle strutture ossee oro-facciali. Inoltre, in situazioni di trapianto autologo o in cui i pazienti siano strettamente imparentati con il donatore, le SHED non presentano alcun rischio di rigetto e, di conseguenza, non necessitano di alcuna terapia immunosoppressiva. Questa tipologia di staminale offre due ulteriori vantaggi che non sono da sottovalutare nella prospettiva di una realtà clinica: oltre all’evidenza che il prelievo di queste cellule non causa alcun dolore al paziente, esse non sollevano questioni etiche come quelle che invece interessano le staminali embrionali. Le PDLSC (periodontal ligament stem cells) derivanti dal legamento parodontale del terzo molare umano, invece, si possono differenziare in osso, cemento e legamenti periodontali. Associate a questa linea, le aPDLSC (alveolar periodontal ligament stem cells) sono una popolazione cellulare in grado di differenziarsi efficacemente in osteociti ed adipociti. Un ultimo tipo di SC è localizzato nella parte apicale della papilla: le SCAP (stem cells from the apical part of papilla) possiedono grandi capacità di proliferazione, migrazione e rigenerazione del complesso polpa-dentina [4-6]. Una ricerca dello scorso anno ha evidenziato come queste cellule, se esposte all’IGF-1, vadano incontro ad un differenziamento osteogenico mentre, in assenza di questo fattore, si orientino verso un differenziamento odontogeno [3]. Un altro lavoro datato 2014, ha indagato le capacità rigenerative delle staminali appartenenti a denti decidui nel trattamento di parodontiti in maiale; entrambi i tipi cellulari presi in considerazione, le PDLSC e le SHED, hanno mostrato capacità rigenerative paragonabili ed è risultato evidente che una terapia basata su questo tipo di cellule sia maggiormente efficace per trattare lesioni parodontali rispetto alla terapia convenzionale. In aggiunta, per applicazioni cliniche è di fondamentale importanza che questo tipo cellulare possieda una bassa risposta autoimmune, un alto ritmo proliferativo e che la sua raccolta in loco presenti una bassa invasività [8].
Indipendentemente dall’impiego di PDLSC o di SHED, l’impianto di gruppi di cellule staminali non rappresenta l’unica strategia adottabile per le terapie rigenerative. Le SC sono presenti allo stato dormiente in tutti i tessuti del corpo umano e, quando ricevono il giusto stimolo, si attivano dando vita alle cellule di cui il tessuto necessita. Questo processo è orchestrato da una serie di segnali e fattori di crescita che l’organismo provvede a fornire quando, per esempio, occorre sanare una lesione. Proprio sulla base del meccanismo con cui il nostro corpo ripara sé stesso è stato sviluppato il protocollo terapeutico che ricorre al CGF (Concentrated Growth Factor), un gel fibroso ricco di fattori di crescita, ricavato dalla centrifugazione del sangue venoso del paziente. L’idea fondamentale di questo approccio terapeutico è che la somministrazione in loco dei fattori di crescita concentrati, stimoli vigorosamente le cellule staminali già presenti nel tessuto a proliferare e quindi a rigenerare la lesione. Nel 2019, Li e il suo gruppo di ricerca hanno dimostrato che un espianto di cellule del legamento parodontale umano, in seguito al trattamento con CGF, presentava un’aumentata velocità di proliferazione [2]. Circa un mese dopo, Sureshbabu ha pubblicato un report, condotto su due pazienti affette da periodontite apicale, in cui veniva evidenziato come la terapia a base di CGF fosse molto efficace nella rigenerazione delle lesioni ossee, generate dall’intervento di chirurgia periapicale [1].
Nel complesso, questa terapia ha mostrato una buona riuscita, in termini di capacità rigenerativa, velocità di guarigione, immuno-compatibilità e costi. Insomma, sia che si parli di impiantarle, sia che si decida di stimolarle attraverso il CGF, le cellule staminali appaiono senza alcun dubbio come la nuova frontiera della medicina rigenerativa; è anche da considerare che i rischi sono numerosi ed è per questo che sono necessarie successive fasi di ricerca e sperimentazione prima di poter rendere questa terapia sicura per la salute umana. Probabilmente, quel giorno non è poi così lontano.
Bibliografia:
[1] Nivedhitha Malli Sureshbabu, Kathiravan Selvarasu, Jayanth Kumar V, Mahalakshmi Nandakumar and Deepak Selvam, “Concentrated Growth Factors as an Ingenious Biomaterial in Regeneration of Bony Defects after Periapical Surgery: A Report of Two Cases,” Hindawi Case Reports in Dentistry, Article ID 7046203, 6 pages, (2019).
[2] Xiaoju Li, Huixiao Yang, Zijian Zhang, Zhonghai Yan, Huling Lv, Yan Zhang and Bin Wu, “Concentrated growth factor exudate enhances the proliferation of human periodontal ligament cells in the presence of TNF‐α,” Molecular Medicine Reports 19: 943-950, (2019).
[3] Ola A. Nada and Rania M. El Backly, “Stem Cells From the Apical Papilla (SCAP) as a Tool for Endogenous Tissue Regeneration,” Front. Bioeng. Biotechnol., Volume 6, Article 103, (2018).
[4] Ananya Madiyal, Subhas Babu, Supriya Bhat, Padmaraj Hegde and Akshatha Shetty, “Applications of stem cells in dentistry: A review,” Gulhane Med J 2018;60: 26-29, (2018).
[5] Shayee Miran, Thimios A. Mitsiadis, and Pierfrancesco Pagella, “Innovative Dental Stem Cell-Based Research Approaches: The Future of Dentistry,” Hindawi Stem Cells International, Article ID 7231038, 7 pages, (2016).
[6] Ramta Bansal and Aditya Jain, “Current overview on dental stem cells applications in regenerative dentistry,” Journal of Natural Science, Biology and Medicine, Vol 6, Issue 1, (2015).
[7] T.A. Mitsiadis, G. Orsini and L. Jimenez-Rojo, “Stem Cell-Based Approaches in Dentistry,” European Cells and Materials, Vol. 30, pages 248-257, (2015).
[8] Xiaoru Fu, Luyuan Jin, Ping Ma, Zhipeng Fan and Songlin Wang, “Allogeneic Stem Cells From Deciduous Teeth Mediated Treatment for Periodontitis in Miniature Swine,” Journal of Periodontology, DOI: 10.1902/jop.2013.130254, (2014).
[9] Etsuko Ikeda and Takashi Tsuji, “Growing bioengineered teeth from single cells: potential for dental regenerative medicine,” DOI: 10.1517/14712598.8.6.735, Source: PubMed, (2008).