N° 1/2018
Divulg..

Aspetto umano dell’odontoiatria familiare

Secondo l’indagine condotta da Deloitte in Italia sono presenti in tutto 6 milioni di imprese familiari e fra queste 66 mila affrontano la transizione ogni anno.

Per questo negli ultimi anni si sta registrando un interesse sempre maggiore per la pianificazione e la gestione del passaggio generazionale, per renderla un’opportunità di rilancio per il business. Questo è un dato incoraggiante, considerando che oltre il 50% delle imprese familiari italiane ha al vertice imprenditori con più di 60 anni di età. Dalle storie degli imprenditori emerge che l’ingresso della nuova generazione in azienda porta linfa nuova che rinnova e fa crescere il business, come sostiene la Schroders Private Banking. Per questo è assolutamente necessario prestare particolare attenzione al passaggio generazionale: il modello familiare, se si tramanda nelle generazioni con successo, è uno dei cardini del sistema imprenditoriale italiano in grado di poter vincere la crisi e far crescere il Paese. Le imprese di famiglia, spesso condotte con pugno di ferro dal massimo artefice del loro successo, il fondatore, rappresentano circa il 90% delle aziende italiane. La base, dunque, del nostro tessuto produttivo. Il quadro si delinea ancora più delicato se osserviamo che gli imprenditori, tra cui sicuramente i titolari degli studi odontoiatrici, con età superiore ai 60 anni, costituiscono oltre il 40% del totale, pur in un contesto dove la presenza di almeno un discendente nel gruppo di comando dell’azienda è pari a circa il 70%. Il dato più disarmante, comunque, è fornito dalla Commissione europea, che ha stimato che solo il 33% delle aziende supera il primo passaggio generazionale, mentre il 10% fallisce. Il 50% scompare alla seconda generazione e solo il 15% va oltre la terza. Con effetti peraltro non secondari anche sotto il profilo delle forze lavoro occupate. 

Alle problematiche di natura familiare, infatti, si affiancano quelle riguardanti la collettività. Ormai da anni, e maggiormente in periodi di crisi quali quelli attuali, si sta facendo strada la consapevolezza che la trasmissione intergenerazionale dell’attività imprenditoriale rappresenti un’assoluta priorità per la conservazione del tessuto produttivo, anche per i fin troppo evidenti risvolti occupazionali. 

[Lavoro pubblicato dall’avv. Tosco dal titolo “Il passaggio generazionale negli studi professionali” su Quaderni Odontoiatrici numero 1/2014 (Tueor Servizi editore)] 

Rivolgendo quindi l’attenzione al settore odontoiatrico, mentre uno studio dentistico moderno in cui lavorano molte figure professionali, estranee fra di loro, fatica dunque a costruire una rete di rapporti interpersonali, lo studio a conduzione familiare è avvantaggiato dall’esistenza della relazione fra i vari membri, indipendentemente dalle mansioni ricoperte e gode della fiducia di una buona parte di pazienti che, pure loro, hanno accompagnato negli anni i loro parenti, costituendo lo “zoccolo duro” del “portafoglio” pazienti dello studio odontoiatrico. 

 

Spesso gli appuntamenti dal dentista sono messi in relazione con una potenziale fonte di stress, soprattutto quelle categorie particolarmente “sensibili” come i bambini. Lo studio dentistico deve dunque diventare un luogo “sicuro”, “familiare” e amico, proprio per l’invasività dei trattamenti e la riluttanza della maggior parte dei pazienti.

Nello studio a gestione familiare quello che deve fare la differenza è l’aria che si respira al suo interno: aria di famiglia! Persone affiatate e con un sorriso vero (quello di circostanza si riconosce) stampato sul viso. Il dentista leader deve sembrare davvero un capo per i suoi collaboratori. L’approccio verso il paziente deve essere amichevole e avvolgente, con un modello comunicativo semplice e colloquiale, nella ricerca di abbattere la barriera tra il professionista e il paziente. La reputazione va costruita in ogni momento perché il modello medico è stato messo in discussione; lo sforzo che deve fare la nostra comunicazione, in questo caso, non è quella di concorrere con la grande pubblicità, ma quello di coccolare meglio i pazienti che già si hanno nel proprio portafoglio, valorizzare il profilo umano anzichè il profitto, migliorando comunque le performance di ogni singolo operatore per poter far apprezzare sempre di più questa caratteristica al paziente e aumentare possibilmente i propri margini senza mai abdicare però alla tentazione di rivaleggiare con i grandi centri e le loro tecniche commerciali. 

 

Già il prof. Magnanensi, al congresso Andi di Bergamo del 2014 dal titolo “Tempo di management”, mise l’accento sulla necessità che l’odontoiatra moderno dovesse accettare di cambiare l’ottica e migliorare se stesso e le proprie performance anziché cercare il confronto: rendere palese la propria affidabilità derivata dall’esperienza, dalla presenza costante degli stessi operatori e del loro leader. Certo che si rende necessario studiare o annullare alcuni fattori legati alla personalità del dentista: alcuni dentisti sono angosciati per un sovraccarico di lavoro o carenza di lavoro, alcuni dentisti con disordine interiori proiettano il loro disagio sul lavoro attraverso una cattiva gestione del tempo e dello studio con conseguente situazioni stressanti. Negli studi più grandi il problema principale, invece, è la mancanza di spirito di gruppo e il clima che si respira. 

 

É una realta che queste strutture siano usate come la “palestra” per odontoiatri neolaureati o colleghi maturi e stanchi delusi dalla libera professione, che si accontentano di onorari bassissimi, e che quindi il ricambio di operatori sia frequente e continuo visto che la giostra non si può fermare e qualcuno deve pur farla girare. Nello studio a conduzione familiare lo sforzo maggiore che bisogna continuare a fare è fidelizzare il proprio cliente proprio perché i pazienti sono pazienti e partners e possono diventare divulgatori del valore del professionista, senza cercare appunto il risparmio ad ogni costo e l’impersonalizzazione del servizio acquistato. Il valore aggiunto deve essere condiviso e riconosciuto genuino, è nella differenza fra la situazione iniziale è quella che si verifica dopo aver ricevuto il servizio, è nel servizio personalizzato. 

 

Da questo si desume come sia Importante costruire una relazione genuina e consolidata, il che significa far esistere l’altro e capire l’altro (per questo l’empatia richiede un processo di maturazione che richiede una profonda attenzione nei confronti del prossimo), essere sempre di buon umore ma con convinzione e non per imposizione (abbassando il livello di stress) perché se fittizio crea stress a sé e agli altri. 

Un altro coach dall’accento spagnolo, il prof. Pedro Morchon Camino, di Enfoque dental, esprime questo concetto con un bello slogan: bisogna prenderci gusto! Amare il proprio lavoro e far percepire al prossimo il proprio gusto nel praticarlo! Se questo significa cambiare la propria capacità di comunicazione, sarà indispensabile farlo perché le barriere alla comunicazione giocano un ruolo di rilievo nel rendere la comunicazione difficile, poco fluida e inefficace. 

 

Proprio il prof. Magnanensi parlava di necessità di cambiare hardware e software, intendendo come hardware il professionista dal punto di vista umano, salvando le competenze ovviamente, quindi i propri aspetti individuali; e intendendo come software, gli strumenti economici propri del business che bisogna imparare a conoscere. In altre parole contano i valori dell’individuo che si esprimono nei comportamenti, individuo che viene supportato dagli strumenti che utilizza. In questo contesto si deve investire nel miglioramento individuale e poi nei servizi che si desidera offrire partendo dall’accoglienza, dalla comprensione dell’altro, dall’empatia e da tutto ciò che potrà mettere il paziente nella miglior condizione “emozionale” per godere dell’assistenza prestata dal sanitario. Non solo comunicazione assertiva visto che la nostra non è vendita di un articolo, ma capacità di comprendere il vissuto del paziente e saper gestire seriamente la sua ansia e le sue aspettative.

 

Non solo sedazione cosciente e/o sedazione profonda, ma iatrosedazione e tecniche comunicative non verbali, ipnosi e tecniche di rilassamento che partano dal desiderio di far stare bene il prossimo in propria presenza, dandogli la possibilità di imparare senza fretta ad esprimere al meglio il proprio controllo e amare la sua salute attraverso il nostro operato.

 

Riportare a galla una vecchia attitudine, insegnata dai nostri precursori e da antiche scuole orientali, che mai considerano la malattia, ma il paziente che le porta; questo il messaggio moderno. Del resto se la storia è fatta di corsi e ricorsi, e se i passaggi generazionali valgono proprio per la continua ridiscussione dei vecchi valori, e se ormai le low cost sono un dato di fatto e andranno avanti ad imperare per i prossimi anni, questo potrebbe essere il momento di reintrodurre un concetto opposto per generare un ulteriore cambiamento.

 

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Claudia Tosi

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